La Lanterna del Popolo

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La Grotta di Belvedere

La Grotta di Belvedere

A circa 4 Km a nord-est da Carovigno, sulla parte più alta dello scalino delle basse Murge, da cui una distesa di argentei ulivi degrada dolcemente verso il mare, elevata su un colle, è situata la mole classicheggiante del santuario di Santa Maria di Belvedere.

Il Santuario si affaccia su di un bellissimo piazzale circolare antistante la chiesa, ed è all'interno del Santuario che è ubicato l'accesso alla grotta di Belvedere.

Su questa grotta, come su tutte le grotte, sono fiorite le leggende popolari che narrano di cunicoli che arrivano al mare, di bambini caduti, di persone che si sono avventurate dentro e non sono più tornate fuori, ecc…

La grotta si trova all'interno di un complesso che si ispira ad una architettura rinascimentale, edificato nel XVI secolo, mentre la facciata della chiesa, rifatta nel XIX secolo, arricchita dall'ampio portale con lesene doriche, riprende motivi neoclassici tardivi.

Dalla chiesa si accede sulla destra ad una scala in discesa che conduce ad una prima cripta, quella superiore, e da qui scendendo per circa 18 metri, si arriva alla cripta inferiore dove si trovano i vari cunicoli.

La grotta giace nel ventre della collina, incavata nel vivo sasso, di forma irregolare e dalle volte basse.

Secondo la leggenda, confortata da una tradizione di nove secoli e dagli scritti conservati nelle cronache del santuario, la grotta sarebbe stata riscoperta nell'XI secolo, al tempo in cui Carovigno era sotto la signoria di Sighelgaide, Contessa di Brindisi e proprietaria della zona di Belvedere adibita a pascoli.

Si narra che la grotta sarebbe stata scoperta quando una vacca vi sarebbe caduta dall'alto scivolando tra i rovi che ne ostruivano l'ingresso e con i suoi muggiti avrebbe richiamato l'attenzione del pastore che, per recuperarla, introdottosi in un angusto passaggio in forte discesa, in parte riempito da massi e terra, avrebbe scoperto una cripta sotterranea con l'affresco di una graziosa Madonna, davanti alla quale l'animale sembrava inginocchiato, fu così che a quella Madonna venne dato il nome di Maria Santissima di Belvedere.

Il pastorello contento per il ritrovamento sventolò un drappo e sorse così nel 1100 la "Preghiera con la Bandiera"

Ancora oggi il sabato dopo Pasqua si batte la "N'Zegna", (ossia il drappo che ricorda il ritrovamento), sul piazzale antistante il Santuario di Belvedere.

Si può ragionevolmente supporre che la grotta, come tante altre chiese rupestri, sia stata usata nei primi secoli dell'era cristiana dai monaci Basiliani che, a seguito della persecuzione iconoclasta, si rifugiarono in Puglia.

Per accedere alla grotta vera e propria che cercheremo di descrivere sfrondandola di tutti i rimaneggiamenti antropici, si scendono alcuni scalini sulla destra.

Qui si incontra l'ampia volta della grotta naturale orientata in direzione Nord-Sud e prospiciente il mare; un breve scivolo di pochi metri, ora diventato scalinata, ci porta nella prima sala notevolmente alterata e trasformata in quella che è la cripta superiore.

Sulla sinistra dietro l'edicola cinquecentesca, nascosto dalla parete che vi è stata costruita, è visibile un cunicolo che dopo pochi metri diventa impraticabile.

Da questo ambiente di 9 metri per 7 e alto circa 4 metri si diparte una galleria in forte discesa con una pendenza di 21 gradi ed una lunghezza di 18,40 metri impostata nella stessa direzione, alla quale sono state asportate le asperità e le concrezioni della volta, verticalizzate le pareti laterali ed attrezzata con scalini alti e ripidi di pietra locale.

La galleria termina in un ambiente molto più vasto di quello soprastante che si allunga in senso trasversale rispetto alla scalinata, dove è stata ricavata la cripta inferiore.

Le dimensioni di questa sala sono di 11 metri per 5,50 con un'altezza media di 3 metri.

Il pavimento attuale è stato rialzato di oltre un metro rispetto a quello originario, mentre le pareti laterali che erano impreziosite da tre affreschi di cui uno è completamente scomparso e gli altri due, quello della Madonna di Belvedere e quello della scuola senese, sono in via di rapido deterioramento.

L'Affresco della Madonna di Belvedere

L'umidità relativa dell'ambiente è aumentata in quanto la pavimentazione in graniglia di marmo non permette il drenaggio dell'acqua proveniente dallo stillicidio della volta, mentre i detriti dei lavori della posa in opera del pavimento, hanno ostruito i cunicoli che creavano un certo movimento d'aria che serviva ad eliminare se non l'umidità che fa parte integrante dell'ambiente ipogeo, il suo ristagnare.

Si è così prodotto un terreno favorevole allo sviluppo di micromiceti ed alghe sugli affreschi.

Dalla sala, sul lato sinistro, dove la volta si abbassa si accede ad un piccolo ambiente in cui convergono tre angusti condotti, di cui uno sicuramente impraticabile, uno che viene dall'alto come inghiottitoio circolare che dà in una piccola saletta concrezionata e il terzo che sale basso e largo con una leggera pendenza e il cui pavimento è rialzato per il depositarsi di calcare che ne impedisce ora il passaggio, ma che sicuramente metteva in comunicazione questa parte della grotta con l'esterno prima di restarne ostruito.

In continuazione della direzione della galleria principale si entra, scendendo dal pavimento, in un ambiente vasto e caotico, riempito da materiale di riporto e di frana.

Da qui è iniziato il lavoro di disostruzione ed esplorazione del Gruppo Speleologico Fiorentino nel 1985.

Gli speleologi dopo una prima indagine, hanno subito evidenziate due fessure da cui "tirava aria", che facevano ipotizzare la presenza di altri ambienti.

Una squadra ha incominciato sulla sinistra. fra i blocchi del pavimento, ad allargare una strettissima fessura; dopo aver tolto dei grossi massi, alcuni dei quali si sono dovuti spezzare per le loro dimensioni sì è aperto l'ingresso di un cunicolo che scendeva verticalmente per poi curvare a destra.

Dopo ripetuti tentativi, superato lo stretto passaggio si è proseguito per un angusto e tortuoso condotto, che si sviluppa sotto il pavimento della cappella fino a chiudere inesorabilmente con una fessura.

Sulla destra, verso la parte più bassa, l'altra squadra aveva già iniziato il lavoro di disostruzione; il materiale da asportare era qui molto abbondante, il lavoro più faticoso e si procedeva lentamente finché si è riusciti a passare sotto la volta, superata anche questa, abbiamo trovato due meandri belli e articolati, liberi da detriti, ma molto stretti.

Il lavoro per allargare l'accesso ai meandri è ripreso rallentato dall'accumularsi del materiale, finché un provvidenziale aiuto della manovalanza locale, mandata dall'allora Sindaco Enzo Di Bianca, ha permesso di smaltire l'enorme massa di terra e sassi che si era accumulata.

Il bel cunicolo di sinistra, ricco di concrezioni mammellonari, dopo pochi metri diventava impraticabile, quindi si è proseguito nel meandro di destra che era il più promettente dove sono state allargate le parti più strette avanzando di pochi metri alla volta.

"Il meandro del mistero", come sarà battezzato dalla squadra di speleologi fiorentini, riservava delle strane e inspiegabili sorprese per i reperti ritrovati oltre dei diaframmi di roccia che sono stati abbattuti per poter passare.

In alto, in una nicchia sulla sinistra, come poggiati delicatamente e puliti, cronologicamente incongrui: un pettinino di plastica di finta tartaruga, un frammento di coccio di una lanternina, la lama a dorso di un coltello in stato di avanzata ossidazione, ed un ciuffetto di paglia, facevano bella mostra di sé.

Come vi fossero arrivati questi reperti così diversi è difficile spiegarlo, dato che era impossibile passare oltre la strettoia senza l'abbattimento del diaframma, ne esistono aperture verso l'alto che possono far pensare che vi siano caduti dentro, ne si può ipotizzare per la loro posizione e giacitura che ve li abbia trascinati l'acqua.

Infine anche questo secondo meandro diviene sempre più stretto ed impraticabile.

Anche il terzo cunicolo ha richiesto un lungo lavoro di disostruzione perché invaso nella parte iniziale da detriti, terra e massi, ma una volta allargata la fessura si è potuto entrare in una bassa saletta, che terminava con uno stretto meandro, ma anche qui prima di procedere bisognava eseguire un lavoro di allargamento e disostruzione, oltre la fessura se ne vedeva la prosecuzione e si sentiva tirare aria.

L'altra squadra intanto incontrava un terreno non troppo compatto che permetteva di procedere abbastanza rapidamente verso sinistra, nonostante che si fosse costretti a lavorare in posizione supina, mentre il materiale si accumulava abbondantemente.

Ma a questo punto è stata interrotta l'esplorazione; rimane ancora da verificare se è possibile forzare la stretta fessura dopo la saletta e continuare la disostruzione nell'ultimo condotto.

La Grotta di Belvedere vista in Pianta

Al punto in cui si è fermata la ricerca, comunque non si può escludere la presenza di ulteriori vuoti vicino a quelli osservati.

Durante i lavori di disostruzione di alcuni cunicoli si sono rinvenute molte ossa, che sono state raccolte; in un primo momento si è pensato che si trattasse dei resti dei festini del "mangia mangia", ma il ritrovamento di numerose coproliti e frammenti di mandibole di iena delle caverne ha portato ad ipotizzare origini ben più lontane nel tempo.

Le ossa si sono trovate parte nettamente in superficie, alcune addirittura affioranti ed annerite nella terra friabile sotto l'ampia volta della prosecuzione della galleria in discesa, altre nella parte più profonda, in un terreno più consistente, e associate a reperti cronologicamente molto più giovani, le ossa che provenivano da questa zona erano tra le più friabili e frammentate.

Raccolto il materiale, è iniziato il lungo delicato lavoro di ripulitura dalla terra e se ne è eseguita la determinazione con la collaborazione dell'Università di Paleontologia di Firenze.

Dall'analisi qualitativa del materiale osteologico rinvenuto si sono potute determinare diverse specie di fauna pleistocenica: Crocuta crocuta, Sus scrofa, Dama dama, Cervus elaphus, Bos pflmigenius, Equus cabaìlus, Vulpes vulpes, Erinaceus europeus, Pitmus savii

Mentre da una analisi quantitativa delle ossa, si sono trovati frammenti di mandibole, di una mascella, di porzione basale e occipitale di un cranio e vari denti tra cui premolari, molari e canini che per la maggior parte, visto il loro stato di usura appartengono a individui adulti, numerose ossa lunghe tra cui due omeri, tibie e cubiti destri privi dell'articolazione distale, un radio Sinistro intero, un femore destro mancante dell'articolazione distale, metacarpi, metatarsi, falangi e coproliti.

La scarsità di resti di microfauna, più sensibile ai cambiamenti del clima, ha reso meno agevole la attribuzione di queste specie ad un periodo cronologico ben definito, ma comunque tale associazione faunistica, anche se sicuramente non rappresenta tutta la varietà della fauna pleistocenica contemporanea, si può attribuire ad una fase temperata interna al pleistocene superiore e possiamo affermare trattarsi di fauna di boscaglia.

Dall'analisi quantitativa delle ossa e dai loro reciproci rapporti, si può invece formulare l'ipotesi che ci troviamo di fronte alla tana di un predatore carnivoro: la iena.

Infatti prevalgono numericamente le ossa di individui di questa specie insieme con le relative coproliti, in associazione con le ossa di diversi individui di Dama dama e di Sus scrofa, che è intuitivo considerare prede poiché rappresentati da individui e molto vecchi e molto giovani.

Inoltre siamo di fronte ad un gran numero di ossa lunghe spezzate e frantumate che potrebbero essere un'ulteriore prova dell'attività delle iene.

Lo scopo degli speleologi era di trovare un passaggio che permettesse di scoprire eventuali sviluppi della grotta.

Per quanto riguarda le conclusioni speleologiche sono stati esplorati e rilevati quattro cunicoli, i passaggi trovati diventano impraticabili dopo alcuni metri, ma confidiamo che il nostro lavoro e la nostra buona volontà abbiano portato un piccolo contributo alla conoscenza della storia della grotta.

Allo stato attuale della nostra conoscenza non è possibile affermare se la grotta è stata frequentata o meno dall'uomo in tempi preistorici.

Adesso il fondo più buio, remoto, inaccessibile del bel santuario di Belvedere, quella voragine incoerente con quei buchi misteriosi dove brillava fosco nella penombra l'occhio della iena spelea dietro le spalle dei pellegrini che si inginocchiavano davanti all'icona della Vergine, ci ha fatto conoscere un ampio tratto della storia di quel luogo.

Il modello generale della grotta in definitiva è una serie di vuoti, uniti da basse ed irregolari fessure, il tutto scavato in generale discesa da acque circolanti.

Questo indica che è mancata una fase freatica, che produce fenomeni più orizzontaleggianti, l'artefice dell'apertura di grossi ambienti in estesa continuazione.

 

La Grotta di Belvedere vista in Sezione

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