La Lanterna del Popolo

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Storia di Mesagne

Mesagne - Chiesa matrice

Fu un importante centro messapico (dal VI al III secolo a. C.), per la posizione strategica a metà della strada che univa la città-Stato di Oria (sede di una reggia) al porto di Brindisi.

Per lo stesso motivo fu importante ai tempi dei Romani che, sul tracciato dell'arteria messapica, costruirono la via Appia.

Il suo nome nasce da quella posizione strategica: Messania divenne Mesania al tempo dei Greci e Mediana con i Romani; ma era già "Misagne" nel 500.

A cinque chilometri, sulla strada per Latiano, è l'area archeologica di Muro Tenente, da identificare con ogni probabilità con l'antica Scamnum, indicata nella "Tabula Peutingeriana", carta stradale del IV sec. d. C., come ultima statio (posto per il cambio dei cavalli) prima di giungere alla Brundisium romana.

Di Scamnum, che sarebbe stata abitata dall'VIII sec. a. C. al VI d. C., restano le testimonianze della necropoli, che si sviluppava all'interno della cerchia muraria.

A sette chilometri a Sud di Mesagne, sulla strada per San Pancrazio, sono pure le rovine di Muro Maurizio, prima villaggio preistorico, poi centro messapico e romano, infine casale medievale, scomparso sul finire del Medioevo.

I Romani popolarono l'agro mesagnese di numerose "villae rusticae" che dovettero durare fino al tardo Medioevo: ne sono stati rinvenuti i resti nei pressi delle masserie Moreno, Partenio e Campofreddo.

Con la fine dell'Impero Romano d'Occidente (476 d. C.) anche Mesagne passò ai Bizantini, che - secondo la tradizione - la cinsero di mura.

Nel X secolo fu quasi del tutto distrutta dalle incursioni barbariche; si riprese solo con i Normanni, allorché nel 1062 Roberto il Guiscardo fece costruire l'unico torrione a pianta quadrangolare del castello, che - rinforzato verso il 1430 con due torrette dagli Orsini del Balzo - fu restaurato e ampliato nella prima metà del sec. XVII da Giovanni Antonio Albricci, principe di Mesagne.

La costruzione subì profonde modifiche nel 1750 ad opera del marchese Barretta, feudatario dell'epoca, per riparare i danni causati dal terremoto del 20 Febbraio 1743: furono allora aperte le otto arcate del primo piano.

Adattato a residenza dai marchesi Granafei, ultimi proprietari privati dai quali ha preso il nome, il castello appartiene ora al Comune che lo utilizza come Museo Archeologico Civico, meritevole di una visita, in particolare per la collezione epigrafica e l'interessante corredo funerario di una tomba a semicamera.

Divenne feudo prima degli Svevi e degli Angioini, poi degli Aragonesi che la cinsero di mura.

Durante il Risorgimento vi fu istituita la vendita carbonara "I Messapi Liberi", a dimostrazione della sua attiva partecipazione ai moti rivoluzionari.

A settentrione, nei pressi del castello, è Porta Grande, ricostruita nel 1784 dov'era la precedente del XVI secolo, dalla quale si accede al borgo antico.

Dalla Porta Nuova, costruita nel 1605 e riedificata nel 1702, si entra invece nel borgo nuovo: è ad unico fornice, ornamentale più che difensiva, con stemmi e iscrizioni sul fastigio.

Un'altra Porta, chiamata Piccola, che si trovava a Sud-Ovest, fu demolita nel 1834.

Il palazzo Scalera, costruito verso la metà del sec. XVI, decorato nel piano attico da una lastra su cui è scolpita l'arma della famiglia, ripropone lo schema dell'ingresso fortificato con torre soprastante.

Il barocco palazzo del Comune, una volta convento dei Celestini, fu costruito nel XVII secolo.

Nel borgo antico è la Chiesa Matrice dedicata a tutti i Santi, che - costruita tra il 1650 e il 1660 sulle basi di due precedenti chiese dei secc. XIV e XVI - ha un'imponente facciata barocca in càrparo e pietra bianca, spartita in tre ordini di cornicioni e scandita da paraste ioniche e corinzie.

Particolari effetti di chiaroscuro sono creati dalle profonde nicchie scavate tra le paraste, con statue di santi.

Sul portale principale sono le statue di Sant'Eleuterio, Sant'Antea e San Corebo, protettori della città.

Ha l'interno ad unica navata con transetto e coro; sotto il presbiterio è la cripta, che custodisce un pregevole crocefisso ligneo del XVI secolo e due tele che rappresentano la Madonna del Carmine (sec. XVIII) e la Natività di Gian Pietro Zullo (sec. XVII).

La chiesa del Carmine, nei pressi della stazione ferroviaria, è di età romanica, e fu quasi completamente riedificata sulle stesse basi, nel sec. XIV.

Tra sovrastrutture del sec. XVI, presenta forme architettoniche tardo-gotiche che ricordano la chiesa di Santa Maria del Casale di Brindisi.

Vi si accede da un elegante portale, e l'interno conserva ricchi altari barocchi e una tela, restaurata in tempi recenti, della Madonna del Carmelo di Francesco Palvisino, dipinta qualche anno dopo la fondazione del convento, avvenuta nel 1521.

Sotto il pavimento sono i resti di un ipogeo con tracce di affreschi e grotte di un antico insediamento anacoretico.

Secondo la tradizione, in quel luogo sarebbe stato - nell'alto Medioevo - un santuario dedicato all'arcangelo Michele.

La chiesa dell'Annunziata, che fu costruita una prima volta dai Domenicani dopo il 1548, ha un portale elegantemente scolpito (oggi inserito nella parte esterna del coro della chiesa attuale, iniziata nel 1702), che è uno dei maggiori esempi di arte rinascimentale della provincia: è datato 1555 e firmato da Francesco Bellotto.

Nella sua sacrestia è una tela di San Lorenzo da Brindisi, senza l'aureola di santo, probabile opera del pittore leccese Oronzo Tiso.

La preziosa pisside del XV secolo, con l'arma della città di Brindisi (le due colonne), proviene dalla distrutta chiesa di Santa Maria del Ponte di Brindisi, ove furono i Padri Premonstratensi.

La chiesa barocca di Santa Maria in Betlemme, dal bel paliotto intarsiato in marmo e madreperla, fu ricostruita nel 1738 utilizzando l'area di una precedente chiesa del 1528.

Sul muro absidale di quest'ultima chiesa, oggi altare ultimo absidale destro, è conservata l'immagine medievale che, dopo la peste del 1528, fu detta di Santa Maria della Sanità.

La grande tela "La Natività di Gesù" (cm 375 x 300) è attribuita a Luca Giordano.

La chiesa di Santa Maria Mater Domini, costruita tra il 1598 e il 1605 là dov'era un'antica cappella, fu ricoperta nel 1688 da un'alta cupola che si vuole copiata da quella romana di Santa Maria del Popolo.

Il Sant'Antonio Abate, scolpito in pietra, che sta a destra dell'ingresso, è opera dei primi anni del sec. XVII.

Lungo la via Appia, poco lontano da Porta Grande, è la chiesetta bizantina di San Lorenzo (VI-VII sec.), con impianto basilicale a tre navate e abside triconca (coperta a cupola nella parte centrale); ciò che indica la persistenza della tecnica costruttiva romana. La cupola fu rifatta, perché crollata, nel sec. XVI.

Mesagne - Chiesa Santa Maria in Betlemme

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